La violenza domestica è sempre causa di addebito della separazione ma l’assegno di mantenimento non è automatico
Il Tribunale di Firenze nella sentenza n. 1314/2020, diramata dallo studio Cataldi, rileva che nel caso di specie, se è vero che la violenza domestica comporta sempre l’addebito della separazione in capo al marito violento, la stessa non ha come conseguenza anche il riconoscimento automatico del contributo al mantenimento per il coniuge che ha subito la crudeltà del marito. Decisione emessa a conclusione della causa giudiziaria che si va a descrivere. Un uomo promuove una causa di separazione dalla moglie, chiedendo che l’addebito sia posto in capo alla stessa, un contributo al mantenimento di 700 euro mensili o in subordine un contributo per gli alimenti di 200 euro. L’attore racconta che dopo le nozze si stabilisce con la giovane moglie nella casa di sua proprietà. La vita coniugale, però, inizia a deteriorarsi molto presto a causa della giovane età della consorte, del suo disinteresse verso la vita matrimoniale, del suo desiderio di leggerezza, a cui aveva dovuto rinunciare, visto che è diventata mamma a soli 19 anni. La donna, infatti, inizia ad allontanarsi da casa diverse volte e dal 2017 la coppia può dirsi separata di fatto. La moglie, costituitasi in giudizio, fornisce, però, una versione ben diversa della vita matrimoniale. La crisi del matrimonio, infatti, non è stata causata solo dalla incompatibilità caratteriale dei coniugi, ma anche dalle condotte violente del marito. Vero che in diverse occasioni si è allontanata da casa, ma solo per chiedere aiuto e ricevere protezione dalla madre. Questo fino a quando nel 2017 non è stata costretta a recarsi al Pronto Soccorso e a sporgere denuncia. Da qui l’avvio di un procedimento penale che ha costretto il GIP a disporre la misura cautelare del divieto di avvicinamento alla moglie e a rinviare l’uomo a giudizio. La moglie chiede, quindi, l’addebito della separazione al marito e un contributo di 700 euro a titolo di mantenimento. Il Tribunale rileva, prima di tutto, che i coniugi vivono separatati dal 2017, dopo che la moglie, a seguito di un litigio violento con il marito, presenta una denuncia formale per lesioni e maltrattamenti. Nel giudizio di separazione, però, anche il marito accusa la moglie di essere venuta meno ai suoi obblighi di assistenza morale e materiale. Il Tribunale, alla luce dei racconti delle parti, ritiene che la fine del matrimonio debba essere attribuita al marito. Lo stesso si è, infatti, reso responsabile di diversi episodi di violenza fisica ai danni della donna, tanto da costringerla ad allontanarsi. Violenza domestica provata da diversi messaggi in cui l’uomo chiede scusa alla moglie per i pugni, gli schiaffi e le tirate di capelli, fatti per i quali è stato condannato in sede penale per lesioni dolose a 9 mesi di reclusione. Di fronte a queste condotte, le frivolezze della donna non hanno alcun rilievo. Come precisa il Tribunale, infatti, “la violenza domestica, quale violazione di norme di condotta imperative poste a tutela di beni di rango costituzionale, è di per sé sufficiente a determinare l’intollerabilità della prosecuzione della convivenza, non rilevando in contrario alcuna diversa mancanza da parte dell’altro coniuge. Anche un unico episodio di percosse è stato ritenuto sufficiente ai fini dell’addebito della separazione al coniuge violento”. Per quanto riguarda, invece, l’assegno di mantenimento conseguente alla separazione, alla luce di quanto emerso in giudizio “fra le condizioni economiche dei coniugi non sembra sussistere quella disparità che giustifichi l’attribuzione di un contributo a favore del coniuge svantaggiato, mentre la rilevante differenza di età esistente fra i due (la (…) è ben 22 anni più giovane del marito) e la capacità lavorativa già messa in atto dalla (…), il possesso da parte della medesima di un più elevato titolo di studio rispetto al coniuge più anziano, essendo lei diplomata, escludono il diritto ad un assegno separativo”.