Consigli LegaliNews

Quando l’infermiera scortese commette reato

Per la Cassazione scatta il reato di maltrattamenti per l’infermiera brusca e frettolosa che con coscienza e volontà persiste nel tenere una condotta vessatoria verso le pazienti anziane. Commette reato di maltrattamenti l’infermiera brusca e frettolosa che, mostrandosi insofferente nei confronti delle persone anziane destinate alle sue cure, tiene nei loro confronti una condotta vessatoria e prevaricatrice. Non occorre che vi sia volontà d’infliggere sofferenza, bastando la consapevolezza della ripetitività e pluralità di gesti idonei a ledere la personalità della vittima. Queste le conclusioni della sentenza della Corte di Cassazione n. 25116/2021, così come diramata dallo studio Cataldi. Nella vicenda, giudicando in sede di rinvio, la Corte di Appello conferma la condanna inflitta all’imputata da parte del G.U.P per il delitto di cui all’art. 572 c.p, che punisce i maltrattamenti contro familiari e conviventi. L’imputata ricorre in Cassazione, contestando la motivazione della sentenza impugnata per contraddittorietà e manifesta illogicità, in relazione alla sussistenza degli elementi soggettivi e oggettivi del reato contestato. Per la difesa è erronea la valutazione delle risultanze istruttorie, perché in contrasto con le deposizioni dei testimoni. La Corte ha confuso il modo di fare brusco dell’imputata con la volontà della stessa di arrecare sofferenze e umiliazioni alla persona offesa, ospite non autosufficiente di un ospedale. Manca, infatti, in punto di dolo, un’indagine finalizzata ad accertarne la sussistenza, ossia la volontà nel compiere atti vessatori, di maltrattare con angherie e soprusi continui i pazienti della struttura. Condotta che trova spiegazione solo nella natura frettolosa dell’imputata nell’assolvere i propri compiti di cura nei confronti dei pazienti. Il P.G., ritenendo infondato il ricorso, ne chiede il rigetto per manifesta infondatezza. Per la Cassazione il ricorso dell’imputata deve ritenersi inammissibile. Gli elementi probatori prodotti dalla difesa non bastano a smontare il convincimento del giudice. La Corte d’Appello ha esaminato in modo molto approfondito le dichiarazioni dei testimoni, dalle quali ha tratto il convincimento che l’imputata era solita ricorrere a gestualità violente e sicuramente non necessarie nell’assistere l’anziana persona offesa. Il tutto in modo sistematico, come desumibile anche dall’atteggiamento sempre timoroso della persona offesa e dalle sue dichiarazioni, dalle quali è emerso che l’infermiera era solita scagliarsi contro le ospiti della struttura, rivolgendosi alle stesse con atteggiamenti e parole aggressive e offensive. Condotta che non può essere giustificata sulla base della “assuefazione alla gestualità brusca”. Non è credibile che l’imputata non fosse consapevole di arrecare con i suoi atteggiamenti sofferenze fisiche e psicologiche, anche perché la stessa ha sempre difeso il suo modo di agire (manovre violente e rapide sui corpi delle anziane degenti, frasi mortificanti quando le stesse non riuscendo a trattenersi defecavano nel letto, minacce di colpirle, ecc.) con le allieve dell’agenzia di formazione. Per gli Ermellini, il fare brusco e frettoloso dell’infermiera, addotto dalla difesa, non priva i suoi gesti dell’idoneità causale necessaria a configurare il reato di maltrattamenti. A rilevare, infatti, è l’insieme delle condotte idonee a cagionare profonda sofferenza e prevaricazione nei confronti della vittima. Il modo di fare burbero e affrettato dell’infermiera si è tradotto in un regime di cura caratterizzato da prevaricazioni e insofferenza verso le pazienti anziane. Il giudice del rinvio ha, quindi, fatto corretta applicazione del principio in virtù del quale “anche la situazione derivante da un clima instaurato all’interno di una comunità, in conseguenza di atti di sopraffazione indistintamente e variamente commessi a carico delle persone sottoposte al potere di soggetti attivi, integri l’abitualità della condotta di cui all’art. 572 cod. pen.”. Corretta anche l’applicazione dei principi relativi all’elemento soggettivo del reato. Il dolo dei maltrattamenti richiede infatti solo la coscienza e la volontà nel continuare a tenere una condotta vessatoria e lesiva della personalità della vittima.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *