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Uomini che amano le madri

di Valeria Lombardo

Questa settimana, visto il successo riscosso ogni venerdì, ReportSicilia.com raddoppia l’appuntamento con gli autori emergenti e i loro racconti. Oggi saranno due i testi pubblicati appartenenti a generi differenti ma che hanno un denominatore comune: entrambi sono stati partoriti da due donne.

“Uomini che amano le madri” è una storia avvincente, molto realistica, che racconta la crisi di una coppia, dovuta allo spettro della madre di un Lui ideale.

Parte I

Laura lo amava. Anche lui la amava ma non erano folli alla stessa maniera, non ugualmente disponibili a perdersi l’uno nell’altra. Lui l’aveva corteggiato come neanche una regina. Un giorno, il primo di tanti, molti, il fragore del ritmo incessante del loro amore fu interrotto da un tonfo: una ciabatta sul bel viso di Laura. Rimase livida per qualche giorno ma non se ne curò né si ribellò al suo amato. Confidava nella propria onnipotenza lei,  si ripeteva ossessionata che sarebbe stata in grado di cambiarlo. I colpi si susseguirono, finché non diventò una viziosa abitudine; non era possibile identificare in lui la vera ragione di questo comportamento. Chi vede nella donna un essere folle carico di sentimento e perciò non disposto ad essere posseduto, pensa che l’unica via per sedare ogni istinto è la soppressione del desiderio stesso. La donna è dotata per natura di una psiche più profonda rispetto all’uomo, la donna genera, la donna agisce per empatia ed è in grado persino di perdere il controllo di sé quando si dedica all’amore. Il maschio, invece, si concede spesso attraversando un unico canale, quello matematico-razionale. Ma, non per questo, ne è sempre consapevole ed è in quel momento che la ciabatta entra in azione. Perché sei così complesso, perché non ti lasci andare? – domandava e si domandava Laura. Sei ancora legato al cordone che ti separò da tua madre, quel dio che tanto ami, che per te è un modello da riproporre, quando, in prossimità dell’età matura, pensi di prendere una donna in sposa, ma il ricordo delle vicende a cui hai assistito da adolescente ti tormenta. I primi approcci sessuali ti hanno entusiasmato e, anche se con meno ardore,  lo fanno ancora. Ti piacevano le gioie che riuscivano a regalarti le donnette che tanto adoravi e che annoveravi con i tuoi amici. Allora erano altri tempi ora è tutto diverso, porterai all’altare la santa. Ti darà dei figli e cucinerà come tua madre, vestirà come tua madre, dirà sempre ‘si’ come tua madre ed intanto ti ritroverai a letto tua madre. Tu sarai forse stato capace di adeguarti alle regole che la società – in quanto uomo rispettabile che ha fatto l’infattibile per essere degno di stima e riconoscimento sociale -, ti ha imposto, ma poi è arrivato il primo figlio. Si, quel bambino concepito con freschezza e passione che ha  reso me, la tua Venere, mamma. Come ti presenti dinnanzi alle sue grazie dopo aver generato un essere umano? Adesso la rispetti.  E’ intrisa di un’aura venerabile, nel lettone ora siete in tre, e quella lingerie sexy ha ceduto il posto ai reggiseni per puerpere, apribili su quei capezzoli da cui sgorga a fiotti il latte per la tua creatura. La tua futura moglie  è una santa ma è diventata madre, hai mai voluto fare l’amore con tua madre? Intanto hai tratto ispirazione dalle donne per esprimere la tua arte realizzando splendidi quadri, la femmina continua a sublimare la  tua vita. La adori, la rispetti ma i fremiti adolescenziali affiorano. Le schiene nude a cui dai vita con magnifiche pennellate sembrano materializzarsi, turbano i tuoi sensi, ti perseguitano. Uomo quella donna è pazza di te, non aver  timore di lei, nessuna supremazia, nessuna arroganza ma pura follia, la follia d’amore. La stessa che Platone indica come unica e possibile forma di pazzia. Non rientrare nel tuo tunnel, escine, vivi, apriti, non avere paura della grandezza femminile, sii complice e non temere l’aspetto non esattamente maschile che è annidato in te. Evita di costringerla alla fellatio se lei non lo desidera, non  sentirti onnipotente come Giulio Cesare che esercitava il suo potere anche in codesta maniera. Concedi a te stesso e alla tua compagna l’alterità, esci dal tuo Io, lei prendendoti in sposo ha espresso tutto delle sue potenzialità. Ha pianto quando doveva scegliere il suo abito, lo ha fatto sentendo il tuo lirico “si” in chiesa, lo farà quando la tradirai e ancora succederà quando sarà lei a tradire te. Fai in modo che quella ciabatta non sia sempre in agguato, ma amala. E’ l’unica cosa che sai di poter fare a rischio di diventare folle. Afferra le sue mani, portale verso il tuo petto, accarezzala, fatti inebriare dal suo profumo buono. Questo in realtà, era uno dei gesti che da tempo fantasticava Laura. Sì, perché suo marito non la toccava più da mesi. Il piccolo Luigi aveva già compiuto un anno di vita. Fare l’amore era diventata un’eresia. Lui si era chiuso in un ambiguo silenzio, era diventato cupo e sfuggiva ad ogni contatto che Laura azzardava a stabilire. Tuttavia anche i gesti violenti si erano diradati, si trovava ancora una volta dinnanzi ad un altro tipo d’uomo. La confusione si era impadronita del suo pensiero, cosa avrebbe dovuto fare per ridare equilibrio a quell’ormai sfatto matrimonio, prima ancora d’esser fatto? Decise di parlarne con una sua amica, aveva bisogno di un confronto, da sola non riusciva più a districarsi da quello stato di forte inquietudine. Laura amava ancora il compagno, nonostante tutto, sebbene il suo desiderio non avesse contraccambio, lo desiderava  ancora di più. Prese coraggio e chiamò Nadia e, dopo una breve conversazione, le chiese di incontrarsi, per discutere di qualcosa di importante. Nadia si accorse subito che la sua amica non stava bene. Laura è sempre stata una donna vivace, allegra, positiva, portatrice di buon umore, ma al telefono presentò la sua ombra. Le due donne si incontrarono al ‘cafè du monde’ in pieno centro, c’era un viavai di gente, ognuno preso dalle proprie cose, dai propri discorsi, pullulava nell’aria quel brio che lei aveva ormai perduto. Le due amiche chiesero un margarita ed un bloody mary al cameriere di servizio, anzi fu Nadia a prendere l’iniziativa, poiché l’amica appariva davvero disorientata, disabituata oramai a stare tra la gente. Era come una bambina al primo giorno di scuola, scrutava tutti quelli che le stavano intorno, voleva leggere i loro stati d’animo, era curiosa di sapere se fossero felici o se qualche focolaio di tristezza li pervadesse. Nadia capì che nella sua amica era cambiato qualcosa, i sorrisi e la sfrontatezza che la connotavano, i suoi dialoghi brillanti, erano stati sostituiti dalla noia. Ma ci doveva essere dell’altro. Sorseggiando il suo cocktail, Laura finalmente smise di fissare i clienti della caffetteria e si ‘sbottonò’ l’anima srotolando fiumi di parole, facendo così partecipe la sua amica di ciò che stava accadendo al suo menage, ma non raccontò delle ciabattate prese, si soffermò molto sul fatto che non faceva più l’amore con ‘suo marito’- così lo chiamava da mesi. Nadia da buona amica le intimò di lasciarlo subito, di prendere Luigi e andare via, lontano.

“Ma quando mai… Non se ne parla nemmeno”, era stata questa la risposta gettata lì così, bruscamente, per troncare la conversazione e andare via subito, con la solita banale scusa dell’improvviso mal di testa. In realtà, Laura  se lo ripeteva da tempo, sapeva per certo che la separazione sarebbe stata l’unica soluzione possibile per la sua pace ma mai avrebbe avuto il coraggio di lasciarlo e lasciarsi andare. Le donne si incontrarono ancora, ma confidarsi con Nadia non le servì affatto tanto più che le suggeriva drastiche soluzioni,  faceva leva sui suoi principi perché sperava che in lei si risvegliasse quell’intraprendenza che da tempo aveva lasciato il posto alla sua ingombrante paura e insicurezza d’agire. Ma qualcosa sarebbe presto accaduto. Sulla strada di ritorno verso casa – dopo l’ennesimo incontro con l’amica fidata – decise invertire la marcia per calmarsi e stordire l’effetto dell’alcol, e, passando per via Delle Rose- la via della vita, vide l’automobile di suo marito, accostata al marciapiede, mentre uno stuolo internazionale di puttane circondava il veicolo. Laura accostò, spense il motore e restò a guardare finchè lui ne invitò una a salire in auto. Non era possibile, non poteva credere ai suoi occhi, fu attraversata da una lama allo stomaco, scesero rivoli di lacrime. Andò via e chiamò subito Nadia, che però non rispose al telefono. Allora le lasciò un messaggio in segreteria, raccontando senza mezzi termini quanto aveva visto, quindi riagganciò, aveva un sogno disperato di sfogarsi. E dunque, lui si era concesso all’amore selvaggio, quello era vincoli e obblighi, quello che avrebbe voluto fare con quella avrebbe presto sposato, colpevole però di essere  diventata madre. Come si sarebbe comportata adesso che era venuta a sapere la verità? Decise di far finta di nulla…Cucinò e allestì una romantica tavola, ma l’uscio di casa non vide attraversare nessuno. Stefano torno’ a casa tarda notte e non si giustificò. Laura stordita dai calmanti, andò a dormire, dopo aver spento le candele che secondo lei avrebbero alla cena un’atmosfera complice al punto da potersi dire tutte le verità. Si era sbagliata ancora una volta e, dirigendosi verso la camera da letto, si abbandonò ad un sonno profondo. La mattina successiva Stefano era uscito di buon’ora. Sentì suonare alla porta. Non aspettava nessuno. Andò ad aprire spettinata com’ era, con una svilente vestaglia di pile e a piedi nudi: era un corriere che le consegnava un pacchetto indirizzato proprio a lei. Tremolante, aprì frettolosamente quell’involucro scoprì che si trattava di un compact disc, sulla cui copertina c’era scritto “VIENI VIA CON ME”. Oh mio Dio, è Stefano? cosa vuole dirmi?- Era un disco di musica bossa nova, ma lui non avrebbe mai scelto un regalo del genere perché proprio non amava la musica sconosceva i generi musicali. Dopo avere aperto il completamente pacco si accorse che c’era un biglietto aereo per il Brasile e la firma di Nadia. La donna andò su tutte le furie scaraventando sul pavimento ciò’ che aveva in mano. Era amareggiata, si era illusa anche questa volta che Stefano potesse avere un gesto per lei e invece era la matta, Nadia, l’amica di sempre, sola come lei, sventurata come lei, l’unica che potesse veramente sapere di cosa Laura, in quel momento, avesse bisogno. Si disperò e pianse, finche’ non rincasò Stefano dal suo turno di lavoro. Lui la amava, a modo suo, ma l’amava. Per un attimo pensò di essere stato scoperto, ma non fece trapelare nulla. La chiamò, ma lei non rispondeva, si era ammutolita e piangeva. L’uomo però scorse a terra quel disco e chiese alla moglie cosa volesse dire, e che intenzioni avesse in merito al viaggio proposto dalla sua amica. 

“Non picchiarmi!” implorò lei. “Non ho nessuna intenzione di picchiarti. Forse ti farebbe bene fare un viaggio, in fondo te lo meriti”. In realtà lui vedeva in quella trasferta dieci giorni di assoluta libertà, e la giustificazione per la frequentazione del le donnine di Via delle Rose. Vigliacco, era proprio un vigliacco, Laura non credeva alle sue orecchie, aveva perso per sempre il suo amato. Riprese in mano il biglietto aereo, e lesse bene la data di partenza, corrispondeva ai due giorni successivi. Rab bia, sconforto, senso di liberazione, di colpa, di colpo l’assalirono, ma non aveva più bisogno di chiedere il permesso a nessuno. Telefonò a Nadia e, dopo una breve con versazione, le confermò che sarebbe partita con lei, per le calde terre del Brasile. Si recò dalla madre, e le disse che le avrebbe lasciato in custodia per dieci giorni, il piccolo Luigi, perchè partiva con suo marito per il Brasile. Le raccontò una bugia, sì, sua madre non avrebbe mai acconsentito al suo viaggio con l’amica, lasciando Ste fano da solo. D’altronde non avrebbe mai saputo la verità, perchè fra genero e suo cera non correva buon sangue, già da mesi lui non andava a farle visita insieme alla moglie ed il bambino. 

Insomma, Laura non trovò ostacoli e, sempre in preda alla disperazione, iniziò a fantasticare sulla sua partenza, comprò una guida  turistica che meglio le avrebbe segnalato i luoghi più interessanti da visitare. Era stordita  dall’indifferenza del marito, frastornata, frustrata, ma smise di inghiottire farmaci. Voleva essere lucida e fare tutto con estremo raziocinio. Preparò la valigia sotto gli occhi di Stefano, e intanto ascoltava la musica del disco che Nadia le aveva regalato. Il brano che più ascoltava ad un volume assordante era ‘Insensatez’ di Tom Jobim: “ Follia, ah che follia hai fatto, cuore senza più sensibilità. Hai fatto piangere di dolore il tuo amore, un amore tanto delicato. Ah, perchè tu sei stato così meschino, così tanto crudele… Ah, cuore mio, chi non ha mai amato, non merita d’essere amato. Vai cuore mio, ascolta la ragione, usa soltanto la sincerità. Chi semina vento, si dice a ragionare, raccoglie sempre tempesta. Vai cuore mio, chiedi perdono, perdono sentito. Vai, perchè chi non chiede perdono, non viene mai perdonato.” 

Sperava che quel brano lanciasse un messaggio a Stefano, chissà, magari l’avrebbe fermata. Ma egli non comprendeva una sola parola di quella lingua. Era impassibile, per lui non stava accadendo nulla che potesse disturbarlo, o almeno, questo lasciava trasparire. 

Continua…

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