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L’autocertificazione falsa non è reato

Per il GIP del Tribunale di Reggio Emilia, i DPCM sono fonti secondarie che non possono limitare la libertà personale. Pertanto, non commette falso ideologico chi non dice la verità nell’autocertificazione. Non commette falso ideologico chi nell’autocertificazione dichiara il falso per motivare l’uscita di casa durante la pandemia da Covid 19 perché i DPCM sono fonti di rango secondario che non possono limitare la libertà personale. Solo un provvedimento del giudice in forza di legge può disporre l’obbligo di permanenza domiciliare come misura cautelare o sanzionatoria, ma in casi specifici. Queste le conclusioni esposte dal GIP del Tribunale di Reggio Emilia nella sentenza n. 54/2021, diramata dallo studio Cataldi, che va ad aggiungersi alle ormai numerose pronunce della giurisprudenza sulle misure restrittive attuate in tempi di pandemia. La vicenda: il Pubblico ministero chiede l’emissione del decreto penale di condanna di due imputati a cui è stato contestato il reato di cui all’art 483 c.p., che punisce la falsità ideologica del privato in un atto pubblico. Reato che il P.M ritiene integrato, in quanto la donna, compilando formale autocertificazione, ha attestato falsamente ai Carabinieri di essere andata a fare degli esami clinici, accompagnata, mentre dai controlli effettuati è emerso che la signora non ha fatto alcun accesso all’ospedale. Il GIP respinge la richiesta del PM, ritenendo di doversi procedere al proscioglimento per diverse ragioni. Prima di tutto, l’obbligo di provvedere alla compilazione dell’autocertificazione per giustificare lo spostamento è previsto dal DPCM datato 08.03.2020. Tale provvedimento, che limita e vieta lo spostamento delle persone tra i territori in esso indicati, per il GIP è illegittimo, perché sostanzia un obbligo di permanenza domiciliare, misura sanzionatoria o cautelare che restringe la libertà personale e che solo il giudice può irrogare per punire certi reati o per evitare che l’indagato ne commetta ulteriori. Sanzione o misura che in ogni caso vengono disposte all’esito di un procedimento e in presenza di determinati presupposti di legge. Il Gip ricorda che la Corte Costituzionale ha considerato misure restrittive della libertà personale situazioni ben più lievi di quella oggetto di contestazione: il “prelievo ematico”; l’obbligo di presentazione presso l’Autorità di PG in concomitanza con lo svolgimento delle manifestazioni sportive; l’accompagnamento coattivo alla frontiera dello straniero; il trattamento sanitario obbligatorio. Si ricorda, infatti, che l’art. 13 della Costituzione prevede che “le misure restrittive della libertà personale possono essere adottate solo su atto motivato dall’autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge”. Alla luce del suddetto articolo della Costituzione, per il GIP un DPCM non può limitare la libertà personale perché norma regolamentare di grado secondario e non atto normativo con forza di legge. L’art. 13 della Costituzione prevede, inoltre, una doppia riserva, una legislativa e una giurisdizionale. Solo un provvedimento del giudice, infatti, può incidere sulla libertà personale di un soggetto, nei soli casi stabiliti dalla legge. Trattandosi di fonti secondarie, regolamentari, non è necessario che il giudice sollevi questione di legittimità costituzionale per violazione dell’art. 13 Costituzione da parte dei DPCM. Costui deve solo procedere alla loro disapplicazione perché illegittimi per violazione di legge. Per il GIP non regge la tesi di coloro che ritengono legittimo il DPCM perché limita la libertà prevista dall’art. 16 della Costituzione che prevede la libertà di circolazione e non l’art. 13 che contempla quella personale. Come ha chiarito la Corte Costituzionale “la libertà di circolazione riguarda i limiti di accesso a determinati luoghi, come ad esempio, l’affermato divieto di accedere ad alcune zone, circoscritte che sarebbero infette, ma giammai può comportare un obbligo di permanenza domiciliare.” Si tratta evidentemente di due libertà distinte, che non possono essere confuse, perché quando la libertà non riguarda i luoghi, ma le persone, si rientra nel campo della libertà tutelata dall’art. 13 della Costituzione. Per quanto riguarda, quindi, il caso di specie, il GIP evidenzia che il DPCM del 08.03.2020, che si ritiene violato dai due imputati, prevede l’obbligo di compilare e sottoscrivere un’autocertificazione per motivare il proprio spostamento, in totale contrasto con i principi sanciti da uno Stato di diritto. Se, però, come affermato sopra, il giudice ha il potere – dovere di disapplicare la norma secondaria, ovvero il DPCM, la condotta di falso non è punibile perché la condotta non può essere considerata antigiuridica. Il GIP conclude quindi nel senso che: “siccome, nella specie, è costituzionalmente illegittima, e va dunque disapplicata, la norma giuridica contenuta nel DPCM che impone va la compilazione e sottoscrizione della autocertificazione, il falso ideologico contenuto in tale atto è, necessariamente, innocuo; dunque, la richiesta di decreto penale non può trovare accoglimento”.

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