Quando è dovuta l’indennità di accompagnamento?
In presenza di patologie gravi, l’indennità di accompagnamento è dovuta solo quando ricorra il presupposto della necessità di un aiuto permanente. Le gravi patologie che rendono il soggetto completamente inabile e che fanno prevedere il sopraggiungere della morte in conseguenza delle stesse, non escludono il diritto all’indennità di accompagnamento, fin quando l’evento letale sia certus an ma incertus quando. Con la sentenza n. 29449 del 23 dicembre 2020, diramata dallo studio Caataldi, la Suprema Corte di Cassazione si è pronunciata sull’indennità di accompagnamento e sui presupposti per il riconoscimento della stessa. L’indennità di accompagnamento rappresenta uno dei temi più attuali e più discussi in ambito di diritto del lavoro che gli studi legali si trovano ad affrontare. Nel caso in esame, la Corte d’appello di Napoli rigettava il gravame svolto dagli eredi di un malato oncologico per il riconoscimento dell’indennità di accompagnamento. La vicenda giungeva così in Cassazione, davanti alla quale i ricorrenti, lamentando la violazione della legge n. 18 del 1980 e successive modifiche, nonché degli artt. 2, 3, 32 e 38 Cost., censuravano la sentenza impugnata, poiché i giudici avevano reputato l’assistito perfettamente capace di compiere gli atti di ordinaria amministrazione. Più nello specifico, i ricorrenti affermavano che le scadute condizioni generali non potessero autorizzare il rifiuto della concessione dell’indennità di accompagnamento soltanto perché diretta a far fronte ad un’emergenza terapeutica e che tali condizioni fossero, anzi, ancor più meritevoli di cura e protezione, proprio attraverso l’assegnazione dell’indennità di accompagnamento. Il tribunale Supremo, rigettando il ricorso, ribadiva un consolidato orientamento di legittimità, secondo cui “le gravi patologie, tali da rendere l’individuo totalmente inabile e da fare ragionevolmente prevedere che la morte sopraggiunga proprio in dipendenza e conseguenza delle stesse, non escludono il diritto all’indennità di accompagnamento finché l’evento letale sia certus an ma incertus quando, non apparendo razionale e rispondente alle finalità della legge negare la necessità di un’assistenza continua per il fatto che, entro un periodo di tempo imprecisato, sopraggiungerà la morte a causa delle patologie invalidanti”. Per gli Ermellini, “l’indennità di accompagnamento può essere, invece, negata solo quando sia possibile formulare un giudizio prognostico di rapida sopravvenienza della morte, in ambito temporale ben ristretto, nel qual caso la continua assistenza risulti finalizzata non già a consentire il compimento degli atti quotidiani del vivere (tra i quali l’alimentazione, la pulizia personale, la vestizione) sibbene a fronteggiare una emergenza terapeutica”. Pertanto, qualora ricorrano patologie gravi “ove non sia prevedibile il quando dell’esito infausto della malattia, l’indennità di accompagnamento è dovuta esclusivamente in presenza del presupposto della necessità di un aiuto permanente”. Ed è proprio sulla base di detti principi che la Corte territoriale aveva “ritenuto la continua assistenza finalizzata non già a consentire il compimento degli atti quotidiani – in riferimento ai quali residuava nel soggetto, nel breve arco temporale dalla fase blastica al decesso, l’autosufficienza nella cura personale e negli atti quotidiani – sebbene a fronteggiare una emergenza terapeutica”.