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Da lunedì gli studenti torneranno in classe: con o senza i loro insegnanti?

Si continua a discutere sull’avvio dell’anno scolastico ormai prossimo e intanto tra mascherine, nuove aule e distanziamento, banchi  monoposto con o senza rotelle – ammesso che siano già nelle disponibilità delle scuole -, le criticità relative al reclutamento dei docenti e alla garanzia di continuità per la comunità studentesca restano le stesse. Anzi, quest’anno la situazione sembra essere peggiorata, gli uffici scolastici provinciale sono in tilt, graduatorie provinciali e interprovinciali pubblicate alla rinfusa, docenti scalzati via dalla regione in cui risiedono, assegnazioni e utilizzazioni provvisorie negate, cattedre vuote, classi destinate a cambiare l’assetto dei propri consigli ancora una volta. 

Eppure, per molti insegnamenti,  le cattedre sono disponibili. Ma non era stato definito “un anno particolare” in cui bisognava garantire la ripresa delle attività senza ulteriori traumi per gli studenti? È l’ennesima prova di quanto il lavoro e la professionalità docente non siano prese nella giusta considerazione: un insegnante impiega mesi per costruire un ambiente resiliente e coeso che consenta ai ragazzi di affidarsi e insieme co-costruire saperi e competenze, di cui il risultato finale è solo la punta dell’iceberg. Il nuovo docente deve ricominciare da zero, ogni anno puntualmente, così come gli alunni che necessariamente dovranno riadattarsi, in barba alla tanto abusata “continuità didattica”.

Adesso vengono fuori altre graduatorie con altrettante strane sigle e nuove assunzioni temporanee di un ulteriore corpo docente che forse sarà destinatario dei posti tolti ai docenti di ruolo ma che,  quando la pandemia cesserà d’essere, saranno in coda tra le code dei precari, già esistenti. D’altronde in Italia si sa, si fa presto a tirare la coperta da questa e da quella parte, lasciando ora i piedi, ora la schiena scoperti.

E in questo caos che lascia presagire ricorsi su ricorsi, le cui ordinanze esecutive faranno miracolosamente veni fuori i posti,  pubblichiamo la testimonianza di una prof. a tempo indeterminato che da circa un lustro vive sospesa tra un trasferimento che sembra essere un miraggio e un’assegnazione provvisoria che fino allo scorso anno è arrivata settimane dopo l’inizio delle lezioni, ma che quest’anno è stata addirittura negata per mancanza di disponibilità, dicono…

Poco più di una settimana è trascorsa dalla pubblicazione degli esiti delle operazioni sulle assegnazioni provvisorie, da parte degli uffici scolastici regionali. Non ce l’ho fatta. L’esito di una ennesima estate, trascorsa ad attendere prima invano il trasferimento e poi in via riparatoria la cattedra per una anno qui a casa, è stato tra i più deludenti. Avevo già raccontato la mia storia, facendomi portavoce di quella di molte altre colleghe e colleghi, ma ancora una volta, noi docenti “renziani” arruolati al Nord siamo stati costretti a cedere il passo a calcoli numerici, all’interno dei quali siamo un residuale, non conteggiato fra i successi di qualche Ministro o di qualche ufficio scolastico periferico.  Eppure questo nuovo anno scolastico sembrava inaugurarsi con i migliori auspici, non solo per i nostri giovani ragazzi ma anche per il corpo docente. L’esperienza non ancora conclusa del Covid-19, infatti aveva inizialmente spinto il Ministero a protrarre le operazioni di assegnazione provvisoria fino al 20 settembre–Una scelta che avrebbe sicuramente favorito le famiglie dei docenti in difficoltà , non solo per l’aspetto economico ma forse, soprattutto per quello sanitario ed emotivo. Non è così distante il ricordo del lockdown e dei sacrifici vissuti da tutti gli italiani. In fin dei conti Il ritorno in classe, tanto atteso anche dal corpo docente, credo si possa considerare il più importante momento di ritorno alla normalità e al contempo di “attesa” nei confronti di possibili recrudescenze della pandemia. 

Nonostante avessi letto svariate pubblicazioni di settore in cui si usava la parola “legge” e cito testualmente: Nella conversione in legge del decreto 22/2020 è stato definita la data del 20 settembre come termine ultimo per le assegnazioni provvisorie dell’anno scolastico 2020/2021,il 31 agosto ho visto negare un mio diritto. L’Ufficio scolastico regionale ad esempio, considera inderogabilmente concluse le operazioni a quella data, vietando ogni possibile rettifica, cui fra l’altro, gli ex CSA da anni, ci avevano abituato. 

Ciò che si reclama è l’aver negato alla base l’istituto su cui vengono compiute le assegnazioni provvisorie, una combinazione fra  i posti in organico di diritto disponibili e la rotazione fra provincie. Proprio questo non ha funzionato. La mattina del 31 agosto io stessa avevo potuto constatare come nella mia classe di concorso si fossero librate ben tre cattedre, poiché i colleghi titolari a Lentini, Floridia e Avola, ottenevano assegnazione provvisoria fra Palermo e Catania. L’ufficio siracusano non ne ha tenuto conto, così al momento della pubblicazione dei movimenti, pur avendone diritto , sono rimasta silenziosamente delusa  davanti a quella scritta evidenziata in giallo “NO DISPONIBILITA”. 

Mi sia perdonato l’utilizzo di burocratici tecnicismi ma è su queste strane parole che la mia vita da cinque anni si plasma e il mio non è certo un caso isolato. Sono in contatto con molti docenti, sparsi per la penisola italiana, ed è mio desiderio dare voce a questa ennesima delusione, trasformandola in una protesta costruttiva. Una voce che possa essere ascoltata, non solo dai vari sindacati, a noi affiancati.Nel frattempo, intraprese le vie legali, ho deciso di restare a casa, usufruendo del congedo parentale.

Avrei dovuto preparare le mie valigie e quelle del mio piccolo Federico e raggiungere Tempio di Pausania, ad Olbia.  Avrei dovuto cercare casa, un asilo a pagamento, una baby sitter, dimenticando l’ansia per un anno scolastico in bilico fra la pandemia e la quarantena. Avremmo dovuto lasciarci alle spalle la cameretta accogliente fatta da mamma e papà, dove Federico impara a diventare grande. Avrei dovuto soprattutto, dire a Federico che papà non sarebbe venuto insieme a noi. Sarebbe rimasto a casa. E non ci sono riuscita. Ho preferito inventare la storia del “profumo del basilico bagnato”, da raccontare al mio bimbo. L’ho preferita allo stipendio, tanto necessario. Così se qualcuno mi dovesse chiedere  perché non abbia raggiunto la Sardegna, io risponderò che ho scelto la quotidiana routine della mia famiglia, rappresentata metaforicamente dal profumo emanato dalle foglie della pianta di basilico, piantata in veranda“.

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