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L’augustano Salvatore Seguenzia, ispettore delle Fiamme Gialle pubblica un giallo sulla Shoah

di Giorgio Càsole

Augusta. L’augustano Salvatore Seguenzia, sposato, due figli, è un lavoratore dello Stato: da oltre trent’anni, svolge la sua attività di ispettore   della Guardia di Finanza all’interno della compagnia cittadina. L’appartenenza alle Fiamme Gialle rappresenta una necessità di vita per Seguenzia, che, da qualche anno, ha sentito l’esigenza e l’urgenza della scrittura, sia in forma di versi che in prosa. Ha pubblicato due corposi romanzi ambientati in Sicilia e  due sillogi di poesie per l’editore Aletti di Guidonia, in provincia di Roma, poeta a sua volta, prefatore delle sillogi e organizzatore di concorsi poetici, cui partecipano molti poeti provenienti da ogni parte d’Italia, come quello svoltosi ad Augusta la scorsa estate, grazie ai buoni uffici dello stesso  Seguenzia, che, innamorato di Augusta e della Sicilia, ha fatto da tramite fra l’editore e l’Amministrazione comunale. Seguenzia dimostra d’avere assimilato appieno la lezione di Leonardo Sciascia  e di Andrea Camilleri anche nel terzo romanzo “Le parole devono vivere”, corposo come i due precedenti; corposo anche perché,  come negli altri due, Seguenzia adopera il siciliano in molti dialoghi, di cui riporta la fedele traduzione in fondo alla pagina, dove, spesso, egli non si limita alla semplice traduzione, perché aggiunge glosse esplicative, ricche di notazioni storiche o medico-scientifiche, come, per esempio, quando traduce il sostantivo “uccalamma”. Seguenzia, in nota, spiega “che alla lettera significa ‘bocca dell’anima’ e sta a indicate la bocca dello stomaco, più precisamente l’epigastrio”, specificando che “è il punto anatomico più intimo e fragile: nella lingua popolare è il luogo in cui si percepiscono, si accolgono e nascono i pensieri, le parole, le emozioni dell’esperienza della vita. E’ un termine che si collega essenzialmente con il lessico dell’amore, attraverso la sua percezione fisica, corporea”. Queste glosse, anche se contribuiscono ad appesantire il volume, arricchiscono il libro perché favoriscono l’immediata comprensione di termini che, ancora usatissimi fino a cinquant’anni fa, suonano oggi estranei alla comprensione dei giovani, cui il romanzo è probabilmente rivolto, giacché vuole focalizzare l’attenzione degli studenti sull’immane tragedia  del genocidio dell’etnia ebraica  in  Germania e nell’Europa, dominata dalla follia del caporale austriaco Adolf Hitler assurto a cancelliere di quella Germania dove i lager dello sterminio erano denominati “campi di lavoro”, del “lavoro che rende liberi”, come si leggeva (e si legge) sui cancelli dell’ingresso. L’autore è come sgomento, incapace di rendersi conto della “banalità del male” ( secondo la celebre definizione di Hannah Arendt), che ottundeva la mente dei gerarchi nazisti. Seguenzia grida “Perché”? Vorrebbe sapere il perché di questo straziante genocidio, scientificamente attuato. Anche Oriana Fallaci pone a sé stessa la domanda perché? nel suo ultimo romanzo, il postumo “Un cappello pieno di ciliegie”, ma è un perché di tipo biografico, che attiene all’albero genealogico della stessa Oriana. Seguenzia, che intitola semplicemente “Perché?” un intero capitolo, pone interrogativi di tipo etico-esistenziale sulla natura dell’essere umano. Seguenzia non risponde come la Arendt, che formulò quella definizione dopo aver assistito al processo  del 1961 che vedeva imputato, quale criminale nazista,  davanti a un tribunale israeliano, l’ex tenente colonnello Aldolf Eichmann. La Arendt, subito dopo, pubblicò un libro il cui titolo era proprio “La banalità del male”. La domanda di Seguenzia rimane senza risposta. Il capitolo in questione  si chiude, circolarmente, con la ripetizione di “perché?” L’ispettore delle fiamme gialle  non ha alle spalle l’esperienza cronistica di  Hannah Arendt né quella documentaristica di storico della Shoah; poeticamente, possiamo dire, lascia al lettore la responsabilità della risposta. Il lettore potrà ricavarla da sé attraverso la lettura del libro che si apre come un giallo, con  tanto di inchiesta condotta dall’alter ego di Seguenzia.  Il romanzo ha per titolo “Le parole devono vivere” perché nelle parole è racchiusa la memoria, la vita di coloro che abbiamo amato e che sono morti, uccisi, spesso, dalla banalità del male.

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