“Il figlio perfetto”
In una società sempre più richiedente, si fa strada il concetto del figlio perfetto ovvero il migliore, il più bravo, quello che è sempre colpa degli altri se non riesce come dovrebbe nell’ambito scolastico o in quello relazionale. Un fenomeno crescente, soprattutto, nelle famiglie benestanti e con un solo figlio. Bello, bravo, intelligente, griffato fin sopra i capelli, pratica sport individuali, sono i connotati della sua carta d’identità. Poco importa se prepotente e poco educato, perché agli occhi di mamma e papà è il figlio perfetto e sono sempre gli altri a metterlo in difficoltà, a non fare emergere le sue potenzialità. Talora anche bugiardo, per non deludere le aspettative, il figlio perfetto tende a prevaricare sui coetanei, perfino nel gioco ha una malsana competizione e agisce indisturbato sotto gli occhi ciechi di una famiglia che è sempre pronta a difenderlo senza comprendere alcuno dei suoi comportamenti, spesso campanelli d’allarme per un sereno sviluppo psicofisico. Il figlio perfetto non ha mai responsabilità perché sono sempre gli altri a sbagliare; ad esempio, non può avere brutti voti a scuola e, se ciò accade, colpevole è l’insegnante che non lo valorizza, non lo capisce, insomma non è all’altezza.
In realtà, il figlio perfetto ha solo la colpa di essere imperfetto, fio che pagherà, crescendo, a sue spese.
Vince su tutto e tutti finché non incontra la vita reale che la famiglia cerca di filtrare con setacci a maglie troppo strette.
E allora? È condannato a crescere con mille insicurezze e a montare dentro sé un mostro chiamato ansia da prestazione e/o paura del fallimento che, se non gestito, rischia di farlo prima implodere e poi esplodere. Il figlio perfetto è un miraggio, la proiezione distorta delle frustrazioni e delle mancanze di genitori troppo presi di sé, carrieristi magari, che con l’idea di famiglia talvolta c’entrano ben poco.