Arresto Messina Denaro, la riflessione di Giorgio Càsole
Condivido e apprezzo sempre di più il magistrato Nino Di Matteo, uno dei più esposti e autorevoli magistrati italiani contro le mafie (attenzione al plurale). Di Matteo ha detto che non è stato una vittoria dello Stato, dopo trent’anni, l’arresto del latitante “agricoltore” di Mazara del Vallo , come si definiva il mafioso più ricercato del mondo, Messina Denaro. Avevo pensato la stessa cosa e mi fa piacere leggere che Di Matteo abbia espresso il mio stesso pensiero. Potrei aggiungere un dubbio: il dubbio che il latitante, vecchio e malato , molto probabilmente malato terminale , si sia voluto far prendere, stanco della latitanza, sapendo che ha i giorni contati, sicuro che sarà curato in un penitenziario con le cure adatte (a spese nostre). Non vi sembra strano che da un anno il pericoloso latitante si faceva curare in una delle più rinomate cliniche palermitane, dopo un intervento chirurgico nella stessa clinica? Il ricovero in un penitenziario ad hoc è stato annunciato poco fa dalla tivvù pubblica, che ha dato enorme risalto all’operazione dei CC, che hanno impiegato 100 (cento) militari circa, molti in tenuta da guerra, per arrestare un tizio che aspettavano da tre giorni, vecchio e malato, appunto. Non solo. Dopo il flebile (forse scenico) tentativo di fuga, lui stesso, consegnatosi docilmente, ha detto tranquillamente ai CC il proprio nome e doppio cognome, come a dire: “Iu sugnu finemula e purtatimi a curarimi”. Una telegiornalista, targata RAI, ha detto che l’ultimo mafioso stragista ha bisogno di cure tumorali. La forte emozione per la “straordinaria” diretta le ha fatto dimenticare il prefisso “anti”: cure antitumorali. Ma questo è il minimo.