Costume e SocietàNewsOpinionistiRosalia Giangreco

C’erano una volta le cene

La pandemia trascina con se anche la consuetudine di riunirsi a cena tra amici. Le cene del venerdì sera perché il sabato non si lavora e ci si può rilassare tra un bicchiere di vino e un buon piatto, o la pizza del sabato sera perché tanto l’indomani è domenica, i bambini non vanno a scuola e ci si alza più tardi. Le cene di lavoro infrasettimanali perché davanti a una pietanza ben fatta si discute meglio e la tavola annulla le distanze tra capo e dipendente, semplifica i discorsi più complessi e suggerisce soluzioni, le cene tra alunni e docenti per i 100 giorni prima dell’inizio della maturità, le cene del lunedì tra marito e moglie per ritrovare l’intimità, se i nonni tengono i bambini. Quante cose si nascondono dietro il gesto conviviale di consumare un pasto in comune, è un rito, e, in certi ambienti prassi. Cene per conoscersi, per ratificare rapporti, per presentare il nuovo amore ai propri amici, cene per fare pace e per chiarirsi. Già dalla scorsa estate, nella breve parentesi in cui sembrava che il virus avesse dato una tregua, troppi se  e ma per organizzare un invito tra pochi. Incontri quasi furtivi, con accurata selezione degli ospiti in base alle frequentazioni covid free, i più sicuri insomma.  La tavola unisce da sempre: l’abitudine di condividere il pasto e discutere di politica, di cultura, di combinare matrimoni, risale alla più remota antichità. Preparare una tavola, dall’apparecchiare all’imbandirla è un vero rito che risponde a un cerimoniale ben preciso, biglietto da visita della casa e dei suoi componenti. 

Le fonti storiche più accreditate, l’iconografia antica, la pittura vascolare, i mosaici romani, gli affreschi rinascimentali uno per tutti il “Cenacolo” di Leonardo, ben sintetizzano il concetto della tavola che va molto al di là della semplice convivialità. L’importanza del banchetto nella società antica è cosa acclarata; è proprio durante il banchetto che i partecipanti manifestano l’appartenenza al medesimo gruppo, in cui tutti i commensali hanno lo stesso ruolo, e tra loro si riconoscono come pari. È questo il senso del mangiare in comune, un atto di per se stesso prettamente istintivo che acquista nella sfera sociale un significato culturale alto. Gesti – quelli dell’organizzazione di una cena in casa o fuori – che nella quotidianità contemporanea avida di tempo hanno assunto una veste importante perchè rappresentano i momenti che ciascuno – a cadenza regolare – si regala per condividere qualcosa di se. Il settore della ristorazione è cresciuto molto negli ultimi anni e si è riqualificato, specializzato, ammodernato, grazie anche agli show cooking che hanno rilanciato il settore della buona cucina nostrana, dai piatti poveri della tradizione a quelli gourmet, dall’osteria al bistrot. Adesso questi locali sono diventate passerelle di saracinesche abbassate vuote e grigie, marciapiedi silenziosi con dehors abbandonati, esattamente come le grandi sale da pranzo o i terrazzi privati. Non si sa ancora né se né quando, o in che modo si potrà pensare di tornare alla normalità. Intanto, mentre fuori la gente è disperata perché non ha più un lavoro e vive nell’incertezza dell’oggi, nelle case continua l’abbrutimento dell’essere umano che adesso ha perso la fiducia, non ha più voglia di cantare sul balcone né di sperimentare le ricette di Benedetta perché sente la mancanza di una birra in piedi con gli amici, un toast al volo al bar sotto l’ufficio o anche solo un hamburger al McDonald’s. 

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