Mia
di Valeria Lombardo
Parte I
‘’Presto, fate presto cialtroni, manca solo un’ora al suo arrivo e state ancora armeggiando con i cavi. Inseriteli dove vi pare, dovreste essere già pronti per il soundcheck!’’
Carlo, il direttore artistico dell’Ellington Club, a Roma.
Era sempre agitato e non lesinava la sua furia nei confronti dei musicisti, ogni volta che organizzava un evento per il famoso locale del capoluogo laziale.
Un posto da sogno a cui era difficile associare un’epoca, gli stessi frequentatori erano artisti ed avventori di ogni nazionalità, che si plasmavano con estrema facilità grazie a nell’atmosfera tipicamente cinematografica.
Qui c’era la possibilità di bere un attimo drink, gustare raffinate pietanze, il tutto all’insegna di ricercatissima musica rigorosamente suonata dal vivo. Le cene talvolta erano seguite da spettacoli parodistici, che prevedevano l’esibizione di ballerine dell’arte del burlesque, una forma di intrattenimento che prende ispirazione dallo striptease del passato, caratterizzato da note ironiche e battute dallo spirito dissacrante.
Tuttavia non tutte le ballerine di burlesque praticavano lo stesso stile, ce n’era una, in questo fantastico panorama, che rimase legata all’estetica e alla scrittura degli originari anni ’20, Mia Perrone.
La donna quasi trentenne, proveniva dal sud italia, precisamente da Palermo. Nonostante praticasse l’arte del burlesque, Mia aveva maturato una formazione artistica presso una scuola di musical nei tempi in cui, giovanissima, ambiva al palco sognando importanti ruoli di attrice.
Era a dir poco bella, i tratti tipicamente meridionali lasciavano il posto a dei lineamenti delicati, pelle bianca come un fazzoletto, un viso dall’ovale perfetto sostenuto da zigomi pronunciati, che le davano un’aria piuttosto sensuale, un nasino ben disegnato a cui faceva seguito un paio di labbra regolari, non troppo carnose. Le scure sopracciglia incorniciavano due grandi e marroni occhi a mandorla, i capelli fluenti, morbidi ed ondulati, viravano al nero.
Un volto incantevole, una sorta di bambola dalla raffinata femminilità dolce ed inconsapevole, che si posava su un morbido corpo alto 170 cm.
Si muoveva con grazia, sembrava volteggiare ad ogni passo compiuto, l’andamento era leggero come quello di una farfalla, il suo parlare vivace ma aggraziato. Amava stare fra la gente, conoscerne di nuova, curiosa com’era del genere umano e delle diversità che lo caratterizzano.
Mia proveniva da una famiglia di ceto medio, che le aveva consentito di studiare serenamente, finché i genitori non decisero di separarsi. Interrotti gli studi di formazione classica, aveva trascorso qualche anno a rovistare fra le sue travagliate emozioni, con il supporto di uno psicologo al quale si era rivolta di sua spontanea volontà. Questo non si rivelò una svolta per il suo stato d’animo in subbuglio, tanto da decidere di smettere di incontrare il suo possibile guaritore, poiché in fondo riteneva che egli non potesse entrare davvero nei suoi pensieri e aiutarla a superare il dramma della famiglia ormai smembrata.
Nonostante fosse rimasta in buoni rapporti con il padre e la madre, andò a vivere a casa di un’amica d’infanzia, Giulia, studentessa universitaria di Pedagogia, con la quale intratteneva un sano e costruttivo rapporto di scambio di opinioni. Per arrotondare, Mia dava ripetizioni di italiano ad alunni di scuola media. Spendeva i piccoli guadagni tra palestra, dove si allenava in modo estenuante e acquisto di libri, che per lei rappresentavano l’evasione dal mondo reale. Nutriva interesse per gli autori classici, italiani o stranieri poco importava, ma adorava le narrazioni che riuscivano ad entrare nelle viscere dei protagonisti, per poi seguirne al cinema o al teatro le stesse trasposizioni. Divenne una passione vera e propria, al punto da decidere di intraprendere gli studi di recitazione.
Fu così che si trovò, in men che non si dica, all’audizione che le avrebbe permesso di entrare a far parte di una prestigiosa scuola di musical a Milano, la MTS.
Lei non ne era conscia, ma stava cercando di esorcizzare la separazione dei genitori e il conseguente allontanamento e la cicatrice invisibile, tentando l’approccio con l’amore verso altri personaggi di fantasia, quelli che avrebbe conosciuto attraverso i testi da interpretare.
La famiglia di Mia, seppur in disaccordo con la volontà espressa dalla figlia, finì per appoggiarla e sostenerla, anche dal punto di vista economico. La Perrone dovette sopportare un altro seppur lieve dolore, che stava lì dietro l’angolo, il distacco da Piero, suo coetaneo con il quale aveva stretto un legame di natura amorosa. Giulia esortò l’amica a non agire frettolosamente, a vagliare lucidamente ogni cosa, in cima alla lista indicò appunto il brusco distacco dai suoi affetti più cari. Mia, inizialmente sembrò considerare il suggerimento della cara amica, in fondo non poteva immaginare cosa sarebbe scaturito da quella partenza.
Infine, rivolgendosi a lei, non esitò ad esprimere con fermezza che il suo era un progetto che voleva realizzare con forte convinzione.
Recuperò i suoi effetti personali, congedò Piero freddamente, considerando questo gesto un fatto inevitabile a causa della sua inappropriata ed eccessiva gelosia. Completamente al buio, Mia si ritrovò a convivere e condividere usi e costumi di una società completamente diversa dalla sua. La donna si intrufolò nella vita milanese con fare felpato e grazie al suo spiccato spirito di osservazione riuscì a districarsi tra il buono e il cattivo che il mondo intorno a lei le presentò.
Iniziarono le lezioni, sembrava andare tutto per il verso giusto, finché dopo circa quattro mesi subì una sorta di ostruzionismo da parte delle sue compagne di corso, infastidite dal fatto che sin da subito Mia avesse raccolto consensi positivi da parte dei docenti, relativi alle sue capacità di attrice. Ma non cedette ai soprusi delle aspiranti colleghe e perseverò nel suo intento, doveva e voleva terminare i due anni accademici.
Così fu.
Ottenne il diploma secondo i tempi stabiliti.
A questo punto cosa avrebbe fatto della sua vita? Sarebbe rimasta a Milano o, dietro suggerimento del suo insegnante di recitazione, si sarebbe trasferita a Roma in cerca di un agente?
Mia preferì allontanarsi per qualche tempo da Milano e pensò che le avrebbe giovato rientrare a Palermo, per riabbracciare i suoi genitori e Giulia.
In realtà, dopo la partenza non aveva mai trovato la forza di tornare durante il percorso di studi, e nemmeno nel periodo che separò il primo anno accademico dall’altro.
Nonostante l’impegno scolastico che la distraeva dai suoi intimi dispiaceri, Mia visse a Milano ininterrottamente, per tutta la durata degli studi. Si era creata un gruppetto di amici, con i quali condivideva essenzialmente la passione per l’arte, un aperitivo o un salto nelle discoteche più in voga di Milano.
In solitudine continuava a frequentare i cinema e i teatri della città, dove aveva l’occasione di vivisezionare le opere grazie alle nozioni acquisite i accademia. Amava perdersi tra le meravigliose vetrine del centro, per poi sostare in un baretto di fronte al duomo, per poterlo ammirare affascinata in tutta la sua munificenza in stile gotico. Il caos cittadino, il nervoso andirivieni degli abitanti del luogo e turisti, non la disturbavano, anzi, la stimolavano non poco. Era un nuovo vivacissimo mondo in cui lei si divertiva ad esserne spettatrice.
Smantellò in un paio di giorni il piccolo appartamento preso in affitto, prenotò un volo e tornò in Sicilia, avendo già preannunciato il suo arrivo ai suoi e alla cara Giulia.
Questa volta Mia fece capolinea a casa della madre, alla quale aveva tanto da raccontare. Chiese al padre di presenziare durante una cena a tre, così come accadeva nei tempi in cui la famiglia Perrone rappresentava un nucleo unito ed affiatato. Si relazionò ai suoi cari in modo piuttosto sereno, non avvertì disagio o altra forma di malessere. Raccontò della sua meravigliosa esperienza in accademia, facendo trapelare tutto il suo entusiasmo e la voglia di intraprendere la carriera di attrice.
ll padre e la madre le consigliarono di riflettere e rimanere, anche se per un breve periodo, in Sicilia, prima di avanzare su Roma. Mia, nonostante il bisogno impellente di mettersi alla prova, accettò di buon grado il suggerimento della famiglia , decidendo di vivere a casa della madre. Dopotutto in città avrebbe potuto proporsi ai teatri, a qualche agenzia, se non addirittura costituire una propria compagnia. Presto però si rese conto di quanto difficile potesse essere ottenere una scrittura teatrale, considerato che non aveva maturato esperienza alcuna in materia di spettacolo, al di la della seppur valida formazione accademica. Le tornava in mente la dritta del suo insegnante di recitazione, che le indicava Roma come potenziale approdo per l’inizio dell’attività lavorativa, ma oltre alla sua insicurezza, si aggiungeva il problema delle risorse economiche, in quanto gli studi avevano rappresentato un grande sforzo per la famiglia. Mia doveva in qualche modo trovare un’occupazione decentemente remunerata, che le consentisse il trasferimento nella Capitale.
Tramite Giulia riuscì a trovare ragazzi a cui fare doposcuola, ma il denaro ricavato da era appena sufficiente per sostenere qualche piccola spesa. fu così che decise di rivolgersi ad un’agenzia di spettacolo, la ‘’Pink Light’’ alla quale si presentò, mettendo avanti il diploma conseguito a Milano.
Il titolare rimase dapprima colpito dalla figura della donna, così diversa dai canoni siciliani, poi dopo una lunga conversazione si rese conto che si trattava di qualcosa di speciale. Unico intoppo era decidere sotto quale forma l’agenzia poteva prendersi carico dell’artista, poiché essa si occupava di organizzazione di eventi musicali, danzanti e cabarettistici.
Dinanzi alla titubanza dell’agente Mia, con fermezza, decise di specializzarsi in una delle diverse discipline che lui stesso avrebbe scelto, considerato che aveva già acquisito nozioni di recitazione canto e ballo.
La Pink Light, non era del tutto convinta dell’idea, ciònonostante invitò la donna a sostenere un provino, per valutarne le reali capacità.
Erano previste tre prove, una per ogni categoria, la donna si sentì rinfrancata, ma non era a conoscenza del fatto che i brani in cui cimentarsi non li avrebbe scelti lei, ma l’agenzia stessa. Arrivò la convocazione tramite mail.
Per la prova di canto erano previsti: All that jazz; summertime.
She wants to move, Blue velvet, per la danza. Una moglie felice la piece da recitare. Analizzando i brani richiesti, Mia, comprese che Ruben, titolare della Pink Light, avesse una vivace percezione del settore artistico, e considerò che l’aspettava un impegnativo lavoro di preparazione.
Avrebbe contattato lei l’agenzia quando si sarebbe sentita pronta ad affrontare il provino, questi erano gli accordi.
Detto, fatto.
Mia studiò meticolosamente ogni particolare delle sue performance. Unico neo, la danza.
Non aveva maturato doti eccellenti ed anche in accademia non era proprio riuscita a fare sua questa disciplina.
‘’Farò l’impossibile, non potrà dirmi di no” continuava a ripetere come un mantra
sebbene ignara del ruolo che le avrebbe affidato il manager.
Poche ore la separavano dal fatidico giorno, Mia era impaziente, ansiosa, temeva di fallire ed infondo si trattava della prima audizione dopo aver conseguito il diploma.
Esorcizzò la paura di non farcela recandosi la mattina stessa del provino, presso un salone di bellezza, dove pensò bene di raccogliere i lunghi capelli dietro la nuca, facendoli pettinare ad onde che le si accostavano al viso, passò alla cura delle mani e dei piedi, accendendo le unghia di un color rosso brillante.
All’accoglienza disse che nel pomeriggio avrebbe preso parte ad un matrimonio, e che non le sarebbe dispiaciuto essere valorizzata dal truccatore del salone.
Mia aveva studiato tutto nei dettagli, scelse di indossare un abito viola anni ’30, lungo allacciato in vita come una vestaglia che le metteva in risalto il piccolo girovita, ed il generoso decoltè, esaltando il suo lunare incarnato.
Niente ninnoli, orecchini, bracciali, o collane. Solo un piccolo crocifisso ciondolante da una cavigliera, che usava indossare quotidianamente.
L’appuntamento alla Pink Loght era fissato per le diciassette, ma lei anticipò di una decina di minuti per avere la possibilità di indossare il costume di scena. Ruben era all’ingresso, l’accolse come si fa con le vere signore, aprendo l’uscio dell’agenzia con atteggiamento elegante, e così facendo le indicò la sala prove dove si sarebbe svolto il provino.
La donna chiese, prima di entrare nella stanza, di potersi cambiare, così l’agente la condusse verso un piccolo camerino.
Una volta cambiata d’abito si diresse dritto al locale adibito ai provini, con una certa freddezza, finché non si accorse della presenza di un signore sulla mezza età, dall’aspetto burbero, seduto ad una poltroncina davanti al pianoforte. Mia avvertì un’intensa agitazione, capì che avrebbe dovuto eseguire i brani studiati, con l’accompagnamento dello strumento, e non sulle basi da lei registrate.
Si maledì senza pietà per essere stata approssimativa, e non aver chiesto in che modalità avrebbe dovuto cantare. Fece in modo di non tradire il suo stato d’animo, e si presentò al maestro di musica.
:- Bene Mia, da dove vuoi iniziare? Canto, danza o recitazione?
Mia ancora in preda all’ansia decise di rompere il ghiaccio con il testo di Franca Valeri, l’aveva fatto suo, svolgendo un’esercitazione certosina, ed inoltre quasi certa del successo della prova, avrebbe recuperato la calma per affrontare eventuali imprevisti. In aula tuonava soltanto il rumore del tacco che di tanto in tanto Ruben batteva sul pavimento.
Un silenzio tombale, che avrebbe raggelato anche il più grande degli artisti.
Un accenno di consenso arrivò dal battito lento delle mani di Ruben, alla fine del test di interpretazione del brano. La donna rilasciò l’aria dal petto, indirizzandola verso il diaframma, così da poter respirare comodamente, ed esordì dicendo ‘’passerei al canto… Iniziamo da Summertime’’.
Anche in questo caso confidava nelle sue capacità, e poteva far scivolare il provino in una confortevole condizione, ma la presenza del pianoforte l’atterriva. Fece richiesta di poter cantare il brano a cappella, possibilità che le venne concessa senza problemi. La donna aveva fatto le giuste considerazioni, con Summertime si creò nella stanza una magica atmosfera. L’esecuzione fu eccellente.
:- Grazie Mia, adesso però vorrei ascoltarti accompagnata dal nostro pianista, che ne dici? All that jazz, ha bisogno di un supporto musicale, proviamo.
Riaffiorò in lei il senso di paura, questa volta non ce l’avrebbe fatta, ma caparbia com’era, si affidò alle note del pianoforte. Fu come camminare sui carboni ardenti.
L’esibizione venne ripetuta per ben quattro volte, finché l’artista riuscì a sincronizzarsi con lo strumento a coda. Mia si accorse dell’impazienza di Ruben, e ancor più del pianista, che sottovoce le disse che non ce l’avrebbe mai fatta. A questo punto, con l’umiltà che la contrassegnava, chiese scusa ogni volta che il maestro era costretto a riprender il brano.
Fu uno strazio, ma infine ne uscì vincente.
Prima che Ruben ponesse la domanda, o impartisse ordini, Mia impugnò la situazione rompendo il silenzio, e dichiarandosi pronta per la prova di ballo. :- Da quale vuole che inizi? Blue velvet o da She wants to move? Io proporrei la prima, mi lascerà il fiato per la seconda- affermò sorridente.
Ruben spiazzato dalla preparazione della donna non esitò a cederle carta bianca.
La canzone jazz dal sapore malinconico ben si accostava alla mise scelta.
Un brano dal tempo lento ed accattivante, che trovò in Mia la perfetta interprete, aiutata dal suo sinuoso corpo.
Non si trattò di una vera e propria coreografia, bensì di un insieme di lenti e morbidi movimenti che fecero breccia su Ruben, che apparve piacevolmente sorpreso.
Ma il bello doveva ancora arrivare. ‘’ She wants to move’’ brano lontano dal precedente, apparteneva al sol funk rock, ed era qui che Mia avrebbe dovuto tirare fuori tutta la grinta che aveva in corpo. In casa aveva ascoltato il brano innumerevoli volte, lo sentiva suo.
Il suo fisico iniziò a vibrare seguendo il ritmo sincopato della musica.
Era sciolta e disinibita.
Ruben non si espresse in merito all’ultima prova ma dopo aver lasciato la sua poltrona, le si avvicinò per porgerle una piccola bottiglia d’acqua, così facendo la ringraziò ed aggiunse che le avrebbe comunicato per iscritto le dovute valutazioni.
Nient altro.
Mia si defilò salutando il manager ed il pianista.
Continua…