Restituiamo ai bambini il gioco creativo
La tragedia avvenuta a Palermo che ha strappato ai suoi la piccola di appena 10 anni per una challenge sui social, induce a riflettere sul modo in cui i nostri bambini trascorrono il loro tempo. Tutti concordi nel dire che sono nativi digitali, che usano meglio di noi telefoni e tablet di ultima generazione. Troppo spesso, però, siamo proprio noi genitori a concedergli con superficialità di usare a “tempo” e non questi dispositivi divenuti la panacea contro gli schiamazzi e il disordine in casa. Se il pupo non vuol mangiare “diamogli il telefono che guarda i cartoni”, se ci troviamo tra amici e si annoia “portiamogli il tablet che gioca” e così via, siamo noi che li abituiamo a una modalità di gioco diverso, loro non hanno colpa. Ma fantasia e creatività che fine hanno fatto? Gli adulti dedichiamo sempre meno tempo al gioco con i bambini, è più comodo metterli davanti a uno schermo che sederci per terra e assecondarli. Eppure, non mancano i play set che riproducono perfettamente i cartoni animati del momento, la storica pasta di sale atossica e profumata, la fabbrica dello slime, i lego e tanto altro. E siamo ancora noi che intorno ai 5-6 anni di età li indirizziamo verso i regali tecnologici.
Cominciamo con la play station per poi finire con il dotarli di smartphone, quando a malapena sanno leggere e scrivere. Superfluo dire che un bambino non è in grado registrarsi su un social perché non ha un indirizzo mail né conosce le procedure di attivazione dell’account, quindi spesso utilizza i profili dei grandi, genitori o fratelli, che hanno già scaricato sui loro devices queste applicazioni, e inconsapevolmente li imita.
Esiste ancora una categoria di genitori che resiste a queste tentazioni mediatiche e spinge il bambino a giocare in maniera tradizionale, a impiegare il tempo in piacevoli letture, o se possibile a fare sport e altre attività ludiche. Tuttavia, accade che proprio in questi casi i bambini avvertano una sorta di disagio in classe, con quei compagni che trascorrono i pomeriggi davanti alla console con giochi di inaudita violenza oppure già utenti avanzati del canale YouTube dove postano i video realizzati, con un canale tutto loro fatto da mamma o papà. Spetta a noi allora spiegare loro che a 6, 7 o 12 anni non si può interagire sulle piattaforme social perché si corrono seri rischi, si può incappare in pedofili o in altre brutte storie. È necessario capire che lo smartphone non serve a quell’età, se non per fare la videochiamata con i nonni o con gli amici del cuore. E che, se si vuole imparare a usare il pc, lo si può fare senza la connessione a internet. Bisogna parlarci con i figli e osservarli, spiarli – se necessario – quando trascorrono troppo tempo in camera e non devono studiare. Ogni bambino è un universo da plasmare ma anche da scoprire e comprendere. In questo difficile anno, i più piccoli hanno pagato un prezzo altissimo e hanno pagato la deprivazione relazionale perché costretti a rinunciare alla scuola in presenza, alle attività pomeridiane di gruppo, al parco giochi. Non serve a nulla adesso accusare tik tok o altre piattaforme, perché tutto dipende dal controllo esercitato dall’adulto. Finché i bambini non maturano la capacità di discernere il bene dal male non ci si può affidare al loro senso del “buonsenso”. Resta adesso lo sgomento dinanzi a una simile sciagura e la vicinanza al dolore di una famiglia generosa che ha deciso di donare gli organi così che la loro creatura possa ancora vivere negli altri.